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L’essenziale. A Nitrodi


Il mare, in lontanza mi bagnava gli occhi. L’osservavo all’ombra di piante di fico, di rosmarino, mentre il profumo dell’alloro e del mirto carezzavano l’aria. Il sole si faceva sentire sulla pelle cosparsa dell’acqua sacra ad Apollo. Sgorgava dal tufo dell’isola verde, a due passi dai lidi, in piena campagna.Quel giorno c’era quella sorta di silenzio che ti fa apprezzare i suoni, il bisbigliare sommesso della gente, il rumore delle ciabatte che strusciano a terra. Passi lenti che mi portarono alle fonti di Nitrodi, all’acqua medicamentosa, buona per la pelle, miracolosa per la mente.

Era mattina presto quando arrivai a Buonopane. Mi convinse ad andarci un vecchio contadino che trovai vicino al Castello Aragonese. Vendeva pomodori “parcheggiati” su di una vecchia Ape. Qualche bottiglia di vino bianco, i capperi sotto sale. La pelle avvizzita dal sole, gli occhi infossati ma brillanti come i riflessi del mare ad agosto. “Buonopane è famosa per il forno del Boccia e per l’acqua delle ninfe, disse. Non c’è altro ma andateci – continuò l’ischitano, indicandomi la strada. Tirate a dritto dopo l’acquedotto, salite lungo il versante sud dell’isola, qualche metro e sarete arrivata”.

Buonopane era vicina, è vero ma lontana anni luce dal brulicare di Ischia Porto, dei taxi, della gente con i trolley al seguito, dei cappellini delle vecchie, dei motorini dei giovani che guizzavano veloci tra curve ed auto. Buonopane era come se fosse un pezzo di mondo a parte. Dove anche il silenzio è sacro. E l’acqua di Nitrodi era davvero speciale. Unii il palmo delle mani, come se fossero una conchiglia. Bevvi più volte. Chiusi gli occhi, distesa su di un telo del colore del cielo.

Il profumo della natura si mischiò a quello della brace di un ristoro vicino alla fonte. Lunghi tavoli di legno vuoti sotto il sole di mezzogiorno. Lasciai la frutta che avevo portato con me. Mi diressi verso la baracca. I vestiti leggeri, umidi, freschi dell’aria di campagna. Mi sedetti. Presi un tavolo all’aperto, così da godere dello spettacolo dei limoneti, delle piante d’arancio, dei fichi succosi. Delle viti rigogliose che erano il vanto dell’isola verde. Quella giornata semplice non la dimenticherò. Il pane caldo appena uscito dal forno, le pesche tuffate nel vino freddo, l’armonia dell’essenziale. Di quell’acqua che scivolava morbida sulla pelle. Di quel poco che mi riempie l’anima.

La valigia avida di sogni

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“Piove sul bagnato” -  rimuginava mio nonno seduto davanti ai vetri della finestra macchiati di gocce d’acqua battente.  Erano almeno tre giorni che pioveva ininterrottamente e non c’era nient’altro da fare che starsene chiusi in casa, con il camino acceso. Mia nonna lavorava a maglia per raggranellare qualche quattrino , che d’inverno faceva più che comodo e io altro non avevo  da fare che passare tutti i miei pomeriggi in soffitta.  Lì c’erano i giochi di mio padre, per lo più fatti in casa da mio nonno  che era un bravo artigiano e un ottimo intagliatore. Il mestiere l’aveva imparato da suo padre chissà quanti anni fa  e se ne era innamorato.  A terra,  poggiate nel mezzo della stanza su assi di legno, c’erano lunghe figure, colorate di rosso e di nero e occhi fatti da due semplici puntini buttati lì a caso. Assomigliavano a dei carabinieri, con alti cappelli che parevano potessero toccare il cielo.  Di lato, appoggiata alla parete c’era una vecchia sedia a dondolo e un abbozzo di capanna dove per Natale montavano il presepe. Era tutto intriso di polvere stantia, anche qualche bambola di mia zia, morbida di pezza cucita a mano. Ogni tanto provavo a frugare nella cassapanca anche se questo mi era stato vietato. Entrare nella soffitta era come volare dentro un mondo magico, dove ogni giorno potevo scoprire qualcosa di nuovo. Mi piaceva stare lì, da solo. Salire i due piani che dividevano la grande sala dove mangiavamo tutti insieme dalla zona riservata alle camere. Saltavo gli scalini di due in due nonostante gli strilli di mia nonna, fino a che non mi trovavo davanti la porta della soffitta. Pesa, con il chiavistello vecchio di ruggine e i tarli che l’avevano quasi divorata. A volte prima di entrare mi avvicinavo piano, senza aprirla. Attaccavo l’occhio sinistro ad uno dei grandi buchi, stretti e lunghi come feritoie, che si erano creati nel tempo. Chissà da quanto era lì quella porta. Nella casa del nonno come minimo c’erano nati anche il padre di mio nonno e non so di preciso quanti antenati della mia famiglia. Noi di cognome facciamo Merletti, proprio come quelle trine che piacciono tanto a mia madre e che mette sul tavolo quando arrivano gli ospiti.  Quando guardavo dal buco della porta speravo di trovare qualcosa di diverso. Ansimavo, nell’attesa che succedesse qualcosa di speciale, di inaspettato. Invece tutto era semplicemente inerte, baciato da un silenzio di pace. Quel pomeriggio non giocai con nessuno dei trabiccoli di legno costruiti da mio nonno. Rimasi semplicemente a guardare la pioggia incessante, ritmica che scendeva cadenzata riempiendo l’aia di acqua. Dapprima si crearono delle pozze, poi pian piano la pioggia invase il cortile di fronte a casa. Credevo di essere circondato da un lago. Intorno solo acqua, colori grigi e rumori di cielo arrabbiato. Mio nonno dormiva mentre la legna scoppiettava. Io rimasi un bel po’ con le mani chiuse appoggiate al mento, a guardare fuori. Non c’era la tv che avevo nella casa di città a farmi compagnia e neppure il mangiadischi rosso che mi raccontava la favola del Gatto con gli Stivali.  C’erano solo campi infiniti e case lontane, sperse all’orizzonte, vestiti lisi di lavoro e mani  spezzate dal freddo. Nient’altro.  Solo gambe per camminare lesti e mani forti  per lavorare la natura bizzosa. C’erano però i sorrisi di mia nonna e i suoi seni grandi dove poggiavo tenero la testa per addormentarmi.  Nel sonno sentivo i discorsi del nonno che si lamentava perché la stagione era stata cattiva. Meditava di andare lontano, in qualche paese fuori dall’Italia a fare fortuna. Io tenevo gli occhi chiusi e ascoltavo. Raccontava del Ballini, il proprietario del pezzo di terra accanto al suo che aveva vinto al Lotto. “Almeno lui ha smesso di lavorare, anche se, Anita lo sai, lì è piovuto sul bagnato.”  Mia nonna faceva grandi respiri ma non rispose.
“Che devo fare io? Devo andare a rubare?  -  Insistette alzando la voce – Che devo fare per dare un futuro a questo piccolo cristiano? In che mondo crescerà?” -  E si mise la testa tra le mani.
“Si sistemerà tutto “ – disse poi lei, con un filo di voce.

“Sì, prega pure il tuo Dio che tutto si sistemi ma ne dubito” – arrancò ancora rabbioso.

Quella sera cercai di non esagerare con le fette di pane con il prosciutto e per tutta la cena osservai il nonno e la nonna. Per la prima volta capii  come si sentono i poveri. Guardai dentro la faccia di chi non ha niente. Sarebbero stati felici se solo non fosse piovuto così tanto, se i campi fossero stati fertili di frutti e se io li avessi aiutati invece che stare a sognare chiuso in soffitta. Da domani tutto sarebbe cambiato. Io avrei rivoltato il mondo e avrei reso la mia famiglia felice per sempre. Avrei giocato al Lotto come il Ballini, i soldi li avevo nel salvadanaio di coccio. Avrei vinto così tanto denaro da comprare i campi di tutto Campogrosso. E mio nonno avrebbe messo il vestito buono, la mamma avrebbe inondato la casa di merletti profumati di bucato e mio padre avrebbe lasciato il lavoro in fabbrica. Ci sarebbe stato il sole ogni giorno e non saremmo dovuti andare via dall’Italia. Corsi fuori e con la vecchia scopa di saggina iniziai a spazzare la pioggia che inondava l’aia. Mia nonna corse fuori, prendendomi per un pazzo scellerato. Io ridevo. Ridevo e ancora ridevo, con la mia valigia avida di sogni tra le mani.

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Per la foto della valigia e del mimo ringrazio  lucam, andate a vedere il suo album su flickr!

La suggestiva immagine della pioggia è invece di Paf-Triz, anche questa presente su flickr a questo link

“Piove sul bagnato”, la frase con la quale ho iniziato il mio racconto è anche il titolo di un film del regista toscano Andrea Bruno Savelli, da qualche giorno nelle sale. Una frase, un modo di dire, che mi hanno ispirato questo racconto. Quindi…grazie Andrea! Vuoi vedere il suo profilo su Facebook e vedere il trailer del suo film? Clicca qui!