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Gli esami di maturità? Il brutto inizia adesso…


E’ tempo di esami di maturità e inevitabilmente per tutti è il momento dell’amarcord. Sono passati per me ben 18 anni da quelle prove vissute con un po’ di ansia e con la tensione tipica di un passaggio fondamentale della propria vita. Una linea sottile tra un’esistenza cadenzata dai ritmi scolastici e dalle lunghe estati e un nuovo percorso tutto da inventare e costruire nel mare magnum del post-scuola.

Senza voler essere retorici, l’esame di maturità segna uno spartiacque importante, nel piccolo di ognuno di noi, direi, epocale. Eil momento della scelta universitaria o della ricerca immediata di un posto di lavoro, delle fragili certezze o dei dubbi consolidati. Ma e’ anche il crocevia di un possibile cambio di città, di un viaggio per destinazioni lontane, di un rinnovamento delle amicizie, dell’esplosione e della maturazione di nuovi interessi sociali e culturali.

La fine del Liceo è stata per la mia generazione – quella degli anni Novanta – qualcosa di non eccessivamente traumatico. Anzi. La consapevolezza di poter (parlo in linea generale) proseguire su un cammino di crescita, di poter sognare il proprio futuro senza se e senza ma. Quasi in una visione positivista, lineare e progressiva dell’essere umano. Internet e la new economy erano alle porte, al di là di quello che poi è successo.

Ora no. Nell’attuale situazione di crisi, in un Paese come il nostro che non investe sui giovani, penso a tutti quei ragazzi ricurvi sui banchi che giocano la loro partita. Magari preoccupati, tristi, rassegnati o stressati. Mi verrebbe voglia di dire a tutti loro  - in modo empatico e compassionevole nel vero senso etimologico della parola – che non ne vale la pena.  Pur consapevole che ogni periodo della propria vita vada vissuto nel “relativismo” delle emozioni e delle sensazioni.

Però non posso ora non guardare con malinconia a questi studenti e pensare alla fine di una bella illusione. La sfida non è tanto capire Montale o interpretare Aristotele. La vera sfida è lì da venire, oltre i cancelli della scuola, in un‘Italia sempre più Paese per (soli) vecchi e per cervelli in fuga.

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