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Renzi, Fantozzi, gli impiegati e i fannulloni…


Ci vorrebbe meno ipocrisia, ma anche la capacità di essere più equilibrati nell’analisi dei fatti. Mi riferisco al tema controverso dell’impegno lavorativo dei dipendenti pubblici, spesso oggetto di durissime critiche.

L’ultima dichiarazione del sindaco di Firenze Matteo Renzi rivolta agli impiegati di Palazzo Vecchio (“Sono come Fantozzi. Anzi, chiamarli Fantozzi sarebbe per loro un complimento”) – rilasciata in un’intervista più ampia al magazine settimanale della Gazzetta dello Sport,  Sportweek - ha riacceso un dibattito che ogni volta appare male impostato o orientato secondo le diverse appartenenze partitiche, secondo uno schema classico ma alla fine dei conti poco utile alla riflessione generale: la sinistra (ma non Renzi) difende gli statali (bacino elettorale significativo per questa parte politica), la destra (Brunetta in testa) li attacca nel nome di una presunta  e ideologica superiorità economica e morale del “privato” sul pubblico.

E’ innegabile che la macchina amministrativa dello Stato, con tutte le sue ramificazioni e le sue “sacche” di resistenza, sia un luogo ideale per i cosiddetti “fannulloni”. Ma non bisogna generalizzare, nè dimenticare che esistono validissimi professionisti, a tutti i livelli, all’interno della pubblica amministrazione.

Renzi stesso dovrebbe saperlo. Così come dovrebbe sapere che attaccare in modo così indifferenziato i suoi dipendenti è un errore tattico (vai a motivarli ora, vai a fare squadra adesso…), non giustificato dalla visibilità mediatica. Sebbene al sindaco di Firenze bisogna dare il merito di saper trovare per noi giornalisti i titoli già pronti e “cucinati”, dai “rottamatori” in giù…

Ma vogliamo negare che ci siano uffici pubblici in cui i dipendenti lavorano poco o nulla? Uffici in cui le pratiche stagnano e in cui inviare semplicemente una e-mail diventa un problema? Ma allo stesso tempo: possiamo tralasciare le condizioni difficili in cui versa la macchina amministrativa, la mancanza di strumenti, la pochezza degli stimoli professionali, la fatiscenza delle sedi, l’inadeguatezza degli stipendi? Direi di no…

Solo porsi seriamente alcune di queste domande ci porta al di là della retorica di una certa difesa d’ufficio degli statali o alla rozza vena polemica di chi taglia i ragionamenti con l’accetta.

La riforma della pubblica amministrazione è una sfida politica per “giganti” e  – paradossalmente - proprio per i grandi uomini di Stato, che purtroppo - in questa fase storica – latitano. In sostanza è la Politica (con la p maiuscola, appunto) che deve trovare, come sempre, soluzioni efficaci. Perchè come afferma il grande sociologo francese Michel Crozier: “La burocrazia è un’organizzazione che non può correggere il proprio comportamento imparando dai propri errori“. Ma forse neanche i politici.