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Strage di Firenze: non chiamiamola “follia”…


 
Non chiamiamola “follia”. L’uccisione nei giorni scorsi a Firenze di due senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, non è semplicemente l’opera di un pazzo. O almeno non solo questo.

Definire così l’azione del killer Gianluca Casseri non sarebbe eticamente corretto. La “scorciatoia della pazzia” porta a liquidare troppo frettolosamente come pura cronaca un gravissimo fatto e libera in modo acritico la coscienza di una società incapace di interrogare se stessa e la propria anima.

L’assassino aveva partecipato in passato a diverse manifestazioni di estrema destra, aveva simpatie nazifasciste ed era vicino agli ambienti del centro sociale ”Casa Pound”. Attenti: qui non stiamo parlando di responsabilità oggettive o penali, ma di contesti insalubri dove circolano idee, riflessioni, posizioni in cui la matrice xenofoba è dominante. Di un humus “pseudoculturale” in cui parole come solidarietà, tolleranza, rispetto e dialogo sono bandite o svuotate di senso.

Parliamo di un clima inquinato, da bonificare, da “umanizzare”.  Un clima generale alimentato anche da politici  e movimenti irresponsabili che non hanno avuto problemi in questi anni ad alzare il livello della polemica e dello scontro (“Immigrati? Fora da i ball” – “Non possiamo sparare ai migranti, almeno per ora“) .

Siamo il Paese che solo qualche giorno fa ha visto a Torino un’azione di deprecabile violenza contro un Campo Rom per una denuncia di una sedicenne per uno stupro mai avvenuto. Siamo il Paese della strage del 2008 di San Gennaro a Castelvolturno che portò alla morte di sei africani. E potremmo continuare…

Quindi, lasciamo stare la “pazzia”, abbandoniamo visioni semplicistiche delle relazioni umane. Concentriamoci su questi tempi storici, complicati e impegnativi. La società è sempre più ”aperta”,  mobile, “liquida” per utilizzare un’espressione del sociologo Bauman. Un aggregato multiforme di differenze religiose, etniche e stili di vita. Il presente è questo e il futuro non cambierà.  

Bisogna quindi superare l’inquietudine ritrovando se stessi nel dialogo con la diversità. Non ci sono alternative – anche per restare semplicemente pragmatici – alla reciproca ospitalità  nel rispetto delle regole. Potranno cambiare dettagli e aspetti marginali in futuro, ma il nostro mondo sarà sempre più multietnico e multiculturale.

E’ un processo ineluttabile, che ci piaccia o no.  La strada è tracciata e non porta certo nei campi putridi e dissestati della xenofobia nazifascista.

4 novembre: disastri di ieri e di oggi


4 novembre 1966-4 novembre 2011. Mentre Firenze ricorda con le consuete celebrazioni il dramma che visse 45 anni fa, con il problema ancora non del tutto superato della persistente pericolosità dell’Arno, nella stessa data in una cinica ricorrenza un’altra città italiana  – Genova - sta vivendo ore drammatiche. Un triste “revival” che mi ha profondamente colpito e amareggiato.

Sono passati solo pochi giorni, infatti, dal disastro delle Cinque Terre e della Lunigiana e ancora oggi ci ritroviamo a fare la conta dei morti e delle vittime. Quasi fossimo chiamati ad un appuntamento quotidiano con la tragedia, annunciata dai bollettini meteo e subita come se fosse inevitabile.

Ma è proprio questo il momento in cui non bisogna cadere nella fatalità. La situazione è chiara. Le norme ambientali in Italia non sono largamente rispettate. Molti comuni – non solo al sud come dimostrano gli ultimi fatti – non sono assolutamente in regola.

Questo è un Paese in cui si ragiona soltanto sulle grandi opere, dal Ponte di Messina ai trafori che fanno a fette la nostra penisola e la sua identità paesaggistica. Questo è il Paese delle costruzioni abusive e dei condoni.

Il vero obiettivo di una politica vicina alla salute dei cittadini dovrebbe invece essere un altro: proteggere e tutelare il territorio, investire sulla sicurezza, rispettare l’ambiente. E invece siamo qui a rincorrere i facili guadagni delle ricostruzioni: la vicenda de L’Aquila e di quegli ignobili imprenditori affamati di appalti lo dimostra senza falsi pudori. Siamo qui a puntare tutto sul tavolo del “business dei cataclismi“.

Del resto prevenire è più difficile, complesso, faticoso. Costruire regolarmente nel rispetto di tutte le norme è impresa ostica per chi ha fretta di fare profitto. In un Paese in cui la legislazione di emergenza post-disastro rende più semplice edificare e innalzare palazzi di cartapesta sull’acqua, non resta che contare le vittime. Gli interessi economici sono ancora una volta più forti.

Firenze val bene un pranzo ad Arcore…


Sconcertante. L’incontro del sindaco di Firenze Matteo Renzi ad Arcore con il premier Berlusconi ha innescato una miriade di polemiche, un vortice di accuse e contro-accuse che sono lo specchio appannato di un’Italia allo sbando, anche sul piano prettamente mediatico. Tutti hanno torto, ma nessuno lo ammetterà naturalmente. E tutti hanno anche una parte di ragione: ma interessa a qualcuno?

E’ innegabile che un incontro istituzionale dovrebbe svolgersi in un luogo consono e coerente, anche per evitare in questo clima di odio politico facili dietrologie. Tuttavia come non riconoscere il pragmatismo del primo cittadino di Firenze ? “Berlusconi mi ha invitato ad Arcore, io vado ad Arcore”. Già qualcuno in passato aveva detto “Parigi val bene una messa”… E qui, tra le mura domestiche della villa del Cavaliere, non si parlava certo di religione…

Così come sarebbero anche giuste le accuse del vertice Pd al rottamatore Renzi, se solo non fosse palese la natura strumentale dell’attacco al discolo Matteo che non ha nessuna voglia di seguire le direttive del partito e si muove da battitore libero. Del resto, qualche settimana fa, Bersani stesso non aveva detto che in nome delle riforme sarebbe andato anche a piedi ad Arcore? E allora: di cosa stiamo parlando? Per cortesia…

E noi giornalisti? Lì a raccogliere ogni singola dichiarazione pro e contro, a costruire il caso mediatico, a vivisezionare la non-notizia, ad enfatizzare – diceva un esperto di media – il “fattoide”, non il fatto.

Possibile che da tutto questo, da questa chiacchiera continua e sconclusionata, non emerga il dato più importante, concreto e significativo, il vero contenuto politico: ma alla fine i soldi per Firenze ci sono? Sì o no? Pecunia non olet…