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Bearzot, l’italiano con la pipa


Me la ricordo eccome quella partita. Era un’estate calda del 1982. Non avevo ancora 7 anni, ma già avvertivo la passione per il calcio con tutto me stesso, anima e corpo.

Mi tremavano le gambe per l’emozione e per la paura mentre ascoltavo l’inno di Mameli davanti al primo televisore a colori acquistato dalla mia famiglia proprio per quella occasione.

Ai mondiali di Spagna l’Italia giocava con il Brasile di Zico, Socrates, Junior, Eder, Falcao…e potrei ancora continuare a sciorinare come una filastrocca questi nomi mitici che hanno fatto la storia della pelota. Finì però 3 a 2 per noi,  con tripletta di Paolo Rossi, il “redivivo”: un piccolo grande miracolo italiano.

Sulla panchina c’era Enzo Bearzot, l’uomo con la pipa, il regista silenzioso di quella vittoria che diede una gioia infinita a tutto il Paese appena uscito dagli orrori degli anni di piombo e proiettato in un nuovo boom economico da prima Repubblica.

Questo friulano schivo, introverso, di poche parole, ora se ne è andato. Era una persona perbene, un uomo dalla straordinaria umanità.

Vinse un torneo complicato in cui gli azzurri – dopo una fase iniziale imbarazzante – superarono in una cavalcata trionfale le più forti del momento: Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest. Un successo netto per intensità e forza espresse in campo, mai più ripetuto, neanche in occasione di Berlino 2006, copia sbiadita di quel trionfo lontano.

Che dire? Era – come ha detto qualcuno ricordandolo oggi – “una figura di italiano popolare”. Un tecnico competente che, anche dopo la conquista della coppa nel tempio sacro del Bernabeu a Madrid, non ebbe mai comportamenti da divo, sopra le righe, da scienziato del calcio. Non finì ad insegnare all’università “coaching” o a tenere conferenze e convegni su come condurre un gruppo alla vittoria. Fu sempre discreto. Un grande italiano dal cuore azzurro e granata.

Vogliamo ricordarlo con la pipa, mentre gioca a carte con il presidente Pertini, in aereo al ritorno dalla Spagna. Due simboli, purtroppo, di un’Italia che non c’è più. Addio, “vecio”.