Nei giorni scorsi per motivi di lavoro ho visitato il Museo di storia della scienza di Firenze, nel cuore del centro storico, adagiato sull’Arno a due passi dagli Uffizi.
Un luogo di rara bellezza e suggestione, oggetto di un ambizioso restyling che porterà a giugno alla nascità di un spazio museale profondamente rinnovato nel segno di Galileo Galilei. Un altare alla cultura scientifica, quasi un “tempio” – di una religiosità laica del sapere, libera e fertile - a cui rivolgersi con solenne rispetto, ma anche con la voglia di viverlo pienamente per tutto quello che può offrire: 5 secoli di storia di collezionismo scientifico.
Tra le vetrine ancora vuote del futuro allestimento, con i primi “tesori” collocati nelle varie sale presto aperte al pubblico, sotto la guida esperta del direttore Paolo Galluzzi - grande affabulatore e tra i massimi esperti della vita e delle opere dello scienziato pisano - ho avvertito con forza tutto il valore di un percorso storico intriso di civiltà, razionalità e rigore. Ma anche di passione creativa e anelito all’infinito.
Mi sono affacciato da una finestra del museo: ho visto l’Arno. Fuori Firenze, l’arte, la cultura, l’estetica rinascimentale di una città unica al mondo. Dentro il conforto e la certezza della forza vincente e “visionaria” del pensiero razionale sulla barbarie, il dogmatismo, il conformismo e la censura.
Mi sono rincuorato, per un attimo rasserenato: l’essere umano può essere anche questo – mi sono detto – può innalzarsi fino a tanto, con il cuore e con la mente. Può scoprire, immaginare o inventare mondi (im)possibili, come l’”ottico” di De Andrè. Peccato che spesso lo dimentichiamo.
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