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Archivio per Dicembre, 2010

Bearzot, l’italiano con la pipa


Me la ricordo eccome quella partita. Era un’estate calda del 1982. Non avevo ancora 7 anni, ma già avvertivo la passione per il calcio con tutto me stesso, anima e corpo.

Mi tremavano le gambe per l’emozione e per la paura mentre ascoltavo l’inno di Mameli davanti al primo televisore a colori acquistato dalla mia famiglia proprio per quella occasione.

Ai mondiali di Spagna l’Italia giocava con il Brasile di Zico, Socrates, Junior, Eder, Falcao…e potrei ancora continuare a sciorinare come una filastrocca questi nomi mitici che hanno fatto la storia della pelota. Finì però 3 a 2 per noi,  con tripletta di Paolo Rossi, il “redivivo”: un piccolo grande miracolo italiano.

Sulla panchina c’era Enzo Bearzot, l’uomo con la pipa, il regista silenzioso di quella vittoria che diede una gioia infinita a tutto il Paese appena uscito dagli orrori degli anni di piombo e proiettato in un nuovo boom economico da prima Repubblica.

Questo friulano schivo, introverso, di poche parole, ora se ne è andato. Era una persona perbene, un uomo dalla straordinaria umanità.

Vinse un torneo complicato in cui gli azzurri – dopo una fase iniziale imbarazzante – superarono in una cavalcata trionfale le più forti del momento: Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest. Un successo netto per intensità e forza espresse in campo, mai più ripetuto, neanche in occasione di Berlino 2006, copia sbiadita di quel trionfo lontano.

Che dire? Era – come ha detto qualcuno ricordandolo oggi – “una figura di italiano popolare”. Un tecnico competente che, anche dopo la conquista della coppa nel tempio sacro del Bernabeu a Madrid, non ebbe mai comportamenti da divo, sopra le righe, da scienziato del calcio. Non finì ad insegnare all’università “coaching” o a tenere conferenze e convegni su come condurre un gruppo alla vittoria. Fu sempre discreto. Un grande italiano dal cuore azzurro e granata.

Vogliamo ricordarlo con la pipa, mentre gioca a carte con il presidente Pertini, in aereo al ritorno dalla Spagna. Due simboli, purtroppo, di un’Italia che non c’è più. Addio, “vecio”.

Firenze val bene un pranzo ad Arcore…


Sconcertante. L’incontro del sindaco di Firenze Matteo Renzi ad Arcore con il premier Berlusconi ha innescato una miriade di polemiche, un vortice di accuse e contro-accuse che sono lo specchio appannato di un’Italia allo sbando, anche sul piano prettamente mediatico. Tutti hanno torto, ma nessuno lo ammetterà naturalmente. E tutti hanno anche una parte di ragione: ma interessa a qualcuno?

E’ innegabile che un incontro istituzionale dovrebbe svolgersi in un luogo consono e coerente, anche per evitare in questo clima di odio politico facili dietrologie. Tuttavia come non riconoscere il pragmatismo del primo cittadino di Firenze ? “Berlusconi mi ha invitato ad Arcore, io vado ad Arcore”. Già qualcuno in passato aveva detto “Parigi val bene una messa”… E qui, tra le mura domestiche della villa del Cavaliere, non si parlava certo di religione…

Così come sarebbero anche giuste le accuse del vertice Pd al rottamatore Renzi, se solo non fosse palese la natura strumentale dell’attacco al discolo Matteo che non ha nessuna voglia di seguire le direttive del partito e si muove da battitore libero. Del resto, qualche settimana fa, Bersani stesso non aveva detto che in nome delle riforme sarebbe andato anche a piedi ad Arcore? E allora: di cosa stiamo parlando? Per cortesia…

E noi giornalisti? Lì a raccogliere ogni singola dichiarazione pro e contro, a costruire il caso mediatico, a vivisezionare la non-notizia, ad enfatizzare – diceva un esperto di media – il “fattoide”, non il fatto.

Possibile che da tutto questo, da questa chiacchiera continua e sconclusionata, non emerga il dato più importante, concreto e significativo, il vero contenuto politico: ma alla fine i soldi per Firenze ci sono? Sì o no? Pecunia non olet…