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“Paranormal activity”, il male in formato domestico



Subito una premessa: non sono un amante del genere “horror”, un frequentatore abituale di pellicole in cui incombe, tra paura e disgusto, il peso cupo dell’ignoto. Tuttavia – incuriosito dal rilevante battage pubblicitario e dalla notizia di diversi attacchi di panico che avrebbero colto alcuni spettatori per il surplus di emozioni provate – non ho resistito alla tentazione di vedere il film “Paranormal Activity” dell’esordiente Oren Peli.

Un’opera prima battezzata positivamente dallo stesso regista Steven Spielberg, che avrebbe suggerito addirittura il finale del film. Un lavoro cinematografico che ricorda, in parte, per lo sviluppo narrativo e la capacità di creare un effetto-realtà progressivamente angosciante con il gioco perverso del “vedo e non vedo”, un altro successo di qualche anno fa: “The Blair Witch Project”.

Un budget di partenza limitato (circa 15mila dollari) che ha già fruttato oltre 100 milioni di dollari di incassi. In sintesi, senza voler svelare troppi dettagli, una storia che si articola tra le mura domestiche con una coppia di giovani fidanzatini oggetto degli “attacchi” di un’entità sovrannaturale irriverente e diabolica. Da una parte Kate, la “preda” braccata dalla misteriosa presenza e, dall’altra, Micah, il ragazzo protettivo e razionale, pronto a riprendere tutto quello accade nella casa con la sua nuova telecamerina, giorno e notte, ma troppo piccolo nel suo essere così terreno davanti ad una forza che si rivelerà alla fine devastante.

Ecco, il film sicuramente ha degli spunti tecnici e narrativi interessanti, ma non è questo il punto che mi preme evidenziare. Al di là dei pareri divergenti sulla qualità o meno di questa pellicola, che io ritengo però una buona opera prima, sono due gli aspetti che mi hanno colpito e su cui, secondo me, si fonda e alimenta il successo al botteghino.

Due aspetti che incidono profondamente sulla sensibilità e la psicologia dello spettatore, anche a distanza di giorni dalla visione del film. Il primo è il fatto che il sovrannaturale è lì, con il suo abbraccio mortale, nel cuore della tua intimità domestica: tu non puoi fare nulla per arginarlo, lo avverti su di te, sulla tua pelle. Il male ti colpisce di notte, quando sei meno vigile, indifeso, ma si spinge spavaldamente anche oltre, alla luce del sole, quando ormai tutta la casa trasuda di orrore e ogni angolo di una ordinaria quotidianità perduta per sempre nasconde un pericolo imminente.

Il secondo punto è il fatto che il male tocca la coppia nella sua relazione sentimentale, corrode il feeling profondo dei fidanzati, spezza le catene amorose di un legame che non ha la forza di opporsi – come un argine benefico e un’isola vergine – all’onda paranormale e cattiva.

Il male tra le pareti di casa e nelle pieghe del cuore.  Ma senza sangue o scene raccapriccianti. Non occorrono. Un mix micidiale che spiega alla fine un successo in sostanza meritato.

2 Risposte a ““Paranormal activity”, il male in formato domestico”


  1. 1 marco

    Ciao, complimenti per l’articolo! Premetto che non ho visto “Paranormal Activity”, ma condivido la tua riflessione…ciò che fa veramente paura non è l’esibizione ostentata di immagini sanguinose o raccapriccianti (come dimostra il fatto che il genere horror-splatter negli anni 80 ha avuto un’evoluzione naturale in senso ironico o addirittura comico) ma la capacità  di far leva sui meccanismi psicologici della paura, molto più sottili e nascosti…come dici giustamente tu, far venir meno le nostre sicurezze razionali, fare irrompere nella tranquillità  domestica l’incubo dell’ignoto, di un qualcosa di sconosciuto al quale non sappiamo e non possiamo opporci, e di cui ci troviamo in balia senza possibilità  di difesa. Non a caso, uno dei film che più mi ha fatto paura è il mitico “Shining”, nel quale, a ben vedere, c’è un solo omicidio, e non più di due-tre scene in cui si (intra)vede un po’ di sangue…

  2. 2 notedigitali

    Grazie per il tuo apprezzamento…:-) Condivido pienamente le tue riflessioni che integrano quelle del mio post. Citi giustamente “Shining”, un capolavoro. Forse uno dei pochi casi in cui un film non fa rimpiagere il libro che lo ispira…

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