Il Maggio Fiorentino deve subire l’onta del commissariamento. La crisi di una delle più importanti istituzioni culturali italiane giunge, dopo mesi logoranti di contrasti e lotte (anche) sindacali, ad un primo epilogo. Ormai è ufficiale: Francesca Colombo non è più la sovrintendente.
L’avvio delle procedure per il commissariamento, come riporta una nota del ministero dei Beni culturali, «si è reso necessario, in attuazione delle disposizioni previste dal decreto legislativo 367/96, considerata la situazione economica e patrimoniale dell’ente lirico». La Colombo, in una infuocata conferenza stampa, si difende, ritenendosi “vittima della politica” e bersaglio di “una gettata di acido in faccia”.
Al di là degli aspetti controversi della vicenda e delle posizioni dei singoli protagonisti (Renzi, Ministero, Colombo, sindacati e dipendenti), ciò che emerge è il degrado raggiunto in questo Paese da quello che dovrebbe costituire uno dei suoi asset fondamentali e strategici: la cultura, che qui vuol dire musica, rappresentazioni, opere, concerti, melodramma. Un settore che dovrebbe essere valorizzato senza remore e incertezze, sul piano delle professionalità messe in campo, del ritorno di immagine in tutto il mondo e rispetto alle fortissime implicazioni che un tale patrimoni0 potrebbe avere a livello economico e finanziario.
Il dramma del Maggio è il dramma generale della cultura in Italia. L’ulteriore dimostrazione sintomatica di un Paese privo di memoria, incapace di trasformare in lavoro, crescita e benessere comune, i propri giacimenti culturali. In Italia si investe in cultura solo lo 0,2% del Pil nazionale, mentre lo standard europeo si attesta intorno all’1,1%. I fatti parlano chiaro.
Resta l’amarezza e la rabbia di fronte ai tagli, ai buchi di bilancio e alla mancanza di risorse. Ma senza un “new deal della cultura” risulta difficile trovare efficaci risposte alla crisi. Qui non occorre investire in derivati “drogati” o in speculazioni finanziare avulse dall’economia reale. Ma in talenti, creatività e idee giovani. Perchè come afferma lo scrittore cinese Gao Xingjian, “la cultura non è un lusso, è una necessità”.
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