venerdì 3 maggio 2024   | intoscana.it
  Il Portale ufficiale della Toscana
  .  
.

 

Archivio Pagina 3 di 3



Il “passaparola”, l’acqua calda e le malelingue


Contribuire a far vivere un’esperienza unica cercando di porsi sempre dalla parte del cliente, con le sue esigenze, i suoi desideri e i suoi valori, utilizzando i social network come grandi spazi in cui la conversazione gioca un ruolo determinante nella definizione di prodotti e servizi turistici. La Borsa del turismo on line – in questa prima edizione formato isole – non ha forse fatto il pienone di operatori e addetti ai lavori dell’arcipelago toscano come sperato dagli organizzatori, ma in un’ottica educational, ha comunque offerto a chi ha voluto coglierne l’opportunità strumenti operativi e conoscitivi per affrontare con una maggiore consapevolezza le sfide del web e del travel 2.0

Nella due giorni di Portoferraio le parole d’ordine si sono susseguite al ritmo degli interventi dei vari relatori: mercato come conversazione, marketing non convenzionale, nuovo rapporto etico e di fiducia tra azienda e cliente, ruolo centrale dei contenuti di qualità, necessità di proporre ai consumatori sempre più consapevoli, critici e informati storie ed esperienze di viaggi e itinerari unici su cui le community di riferimento svolgono una funzione autorevole e certificante

Certo, non è facile modificare azioni e modelli consolidati di comunicazione e promozione turistica ma la strada – con l’esplosione dei social media  – appare tracciata. Concetto reso ancora più chiaro se consideriamo che il nuovo consumatore usa tantissimo il web, che il 25% della popolazione mondiale – 1 miliardo e 800mila individui – naviga on line quotidianamente, che 800 mila persone sono connesse ai social media e che sono oltre 3 milioni e mezzo le ricerche di carattere turistico prodotte ogni giorno sui motori. 

Le scelte dei potenziali vacanzieri sono influenzate sempre più dalla rete e dalle relazioni amicali in un processo progressivo che sta liberando sempre più i clienti da mediazioni o azioni comunicative intermedie. 

Una bella sfida per chi vuole rinnovare la propria offerta turistica intercettando una domanda sempre più variegata ed esigente, con soggetti attivi e impegnativi

Ricordandosi che  – al di là delle strategie di comunicazione messe in campo – quello che conta alla fine è offrire al turista un’esperienza di qualità, condizione imprescindibile per alimentare quel passaparola che appare ancora oggi –  nonostante gli strumenti tecnologici sofisticati a disposizione – la leva ultima di ogni successo, trovando proprio nel web la sua dimensione ideale

Passaparola: sembra la scoperta dell’acqua calda - forse lo è in attesa di nuovi ”lampi” - ma ora funziona più che mai. Attenzione quindi  alle “maledette malelingue”. Tecnica e potenza del marketing, almeno di quello non convenzionale.

Quel museo che ti riporta alla bellezza dell’essere umano…


Nei giorni scorsi per motivi di lavoro ho visitato il Museo di storia della scienza di Firenze, nel cuore del centro storico, adagiato sull’Arno a due passi dagli Uffizi.

Un luogo di rara bellezza e suggestione, oggetto di un ambizioso restyling che porterà a giugno alla nascità di un spazio museale profondamente rinnovato nel segno di Galileo Galilei. Un altare alla cultura scientifica, quasi un “tempio” – di una religiosità laica del sapere, libera e fertile - a cui rivolgersi con solenne rispetto, ma anche con la voglia di viverlo pienamente per tutto quello che può offrire: 5 secoli di storia di collezionismo scientifico

Tra le vetrine ancora vuote del futuro allestimento, con i primi “tesori” collocati nelle varie sale presto aperte al pubblico, sotto la guida esperta del direttore Paolo Galluzzi - grande affabulatore e tra i massimi esperti della vita e delle opere dello scienziato pisano - ho avvertito con forza tutto il valore di un percorso storico intriso di civiltà, razionalità e rigore. Ma anche di passione creativa e anelito all’infinito.

Mi sono affacciato da una finestra del museo: ho visto l’Arno. Fuori Firenze, l’arte, la cultura, l’estetica rinascimentale di una città unica al mondo. Dentro il conforto  e la certezza della forza vincente e “visionaria” del pensiero razionale sulla barbarie, il dogmatismo, il conformismo e la censura.

Mi sono rincuorato, per un attimo rasserenato: l’essere umano può essere anche questo – mi sono detto – può innalzarsi fino a tanto, con il cuore e con la mente. Può scoprire, immaginare o inventare mondi (im)possibili, come l’”ottico” di De Andrè. Peccato che spesso lo dimentichiamo.

“Paranormal activity”, il male in formato domestico



Subito una premessa: non sono un amante del genere “horror”, un frequentatore abituale di pellicole in cui incombe, tra paura e disgusto, il peso cupo dell’ignoto. Tuttavia – incuriosito dal rilevante battage pubblicitario e dalla notizia di diversi attacchi di panico che avrebbero colto alcuni spettatori per il surplus di emozioni provate – non ho resistito alla tentazione di vedere il film “Paranormal Activity” dell’esordiente Oren Peli.

Un’opera prima battezzata positivamente dallo stesso regista Steven Spielberg, che avrebbe suggerito addirittura il finale del film. Un lavoro cinematografico che ricorda, in parte, per lo sviluppo narrativo e la capacità di creare un effetto-realtà progressivamente angosciante con il gioco perverso del “vedo e non vedo”, un altro successo di qualche anno fa: “The Blair Witch Project”.

Un budget di partenza limitato (circa 15mila dollari) che ha già fruttato oltre 100 milioni di dollari di incassi. In sintesi, senza voler svelare troppi dettagli, una storia che si articola tra le mura domestiche con una coppia di giovani fidanzatini oggetto degli “attacchi” di un’entità sovrannaturale irriverente e diabolica. Da una parte Kate, la “preda” braccata dalla misteriosa presenza e, dall’altra, Micah, il ragazzo protettivo e razionale, pronto a riprendere tutto quello accade nella casa con la sua nuova telecamerina, giorno e notte, ma troppo piccolo nel suo essere così terreno davanti ad una forza che si rivelerà alla fine devastante.

Ecco, il film sicuramente ha degli spunti tecnici e narrativi interessanti, ma non è questo il punto che mi preme evidenziare. Al di là dei pareri divergenti sulla qualità o meno di questa pellicola, che io ritengo però una buona opera prima, sono due gli aspetti che mi hanno colpito e su cui, secondo me, si fonda e alimenta il successo al botteghino.

Due aspetti che incidono profondamente sulla sensibilità e la psicologia dello spettatore, anche a distanza di giorni dalla visione del film. Il primo è il fatto che il sovrannaturale è lì, con il suo abbraccio mortale, nel cuore della tua intimità domestica: tu non puoi fare nulla per arginarlo, lo avverti su di te, sulla tua pelle. Il male ti colpisce di notte, quando sei meno vigile, indifeso, ma si spinge spavaldamente anche oltre, alla luce del sole, quando ormai tutta la casa trasuda di orrore e ogni angolo di una ordinaria quotidianità perduta per sempre nasconde un pericolo imminente.

Il secondo punto è il fatto che il male tocca la coppia nella sua relazione sentimentale, corrode il feeling profondo dei fidanzati, spezza le catene amorose di un legame che non ha la forza di opporsi – come un argine benefico e un’isola vergine – all’onda paranormale e cattiva.

Il male tra le pareti di casa e nelle pieghe del cuore.  Ma senza sangue o scene raccapriccianti. Non occorrono. Un mix micidiale che spiega alla fine un successo in sostanza meritato.

Prendo il treno da un villaggio di frontiera…


Ogni mattina da una piccola stazione di provincia, quella di Incisa in Val d’Arno, prendo il treno per raggiungere Firenze, dove lavoro. Come migliaia e migliaia di pendolari nella nostra regione, spesso vittime di ritardi e disservizi.

Una stazione di passaggio, periferica, sostanzialmente “morta”, senza uno sportello aperto per comprare i biglietti e priva della minima traccia di presenza umana (intendo dire un capostazione, una qualsiasi figura professionale delle Ferrovie dello Stato), a parte le persone in attesa lungo i binari. I treni regionali passano, si fermano per pochi minuti e ripartono accompagnati da una voce metallica e registrata che ricorda agli utenti orari, arrivi e destinazioni. Lontano –  su altri percorsi esclusivi e su una rete ferroviaria che collega solo i grandi centri urbani –  sfreccia invece l’Alta Velocità, elemento di modernizzazione che rende ancora più forte il contrasto tra una certa Italia e quella della piccola e ordinaria quotidianità. 

Incisa – come tante altre – è una tipica stazione a un passo dalla soppressione, il risultato di qualche “razionalizzazione” o operazione “per l’abbattimento dei costi” da parte di Ferrovie dello Stato. I biglietti? Li puoi fare solo alla macchinetta automatica. Pazienza se (a volte) non funziona o  se ti trovi di fretta con il treno in arrivo oppure senza pezzi piccoli tra monete e banconote da inserire in quello che di fatto costituisce un simbolo concreto di un’automazione che ha spazzato via il lavoro umano, soprattutto nelle piccole cose.  Sul treno puoi “tranquillamente”  rimediare al mancato acquisto del biglietto, basta pagare 5 euro in più: una sovratassa insopportabile se pensiamo poi alla qualità e al confort dei nostri vagoni.

Non so perchè, ma quando mi trovo tra questi binari, in attesa, spesso accompagnato da poche persone che sto imparando nel tempo a riconoscere, nel silenzio e nel freddo della campagna, in uno scenario immobile e decadente, mi viene alla mente una voce vibrante, quella di Alice, e una canzone di rara bellezza: “I treni di Tozeur”. Forse perchè, tra sogno e realtà, mi sembra di essere anch’io in un villaggio di frontiera da cui tutto può partire…

Video-omaggio al calcio anni ottanta…


In linea con il post di ieri un video-omaggio di un caro collega e amico – il buon Pinko –  tutto da vedere e gustare…Sulle note di una canzone dei mitici “Quarto Podere”, band di rock agricolo toscana, immagini e ricordi unici per chi ha vissuto davvero gli anni Settanta e Ottanta del calcio italiano…

Radio e figurine nel calcio che fu…


Scorrendo oggi l’Ansa leggo due notizie che non possono non riportarmi indietro nel tempo, con un sussulto nostalgico al cuore. Puro amarcord: i 50 anni compiuti dalla storica trasmissione radiofonica “Tutto il calcio minuto per minuto” e la divertente novità delle 600 figurine Panini autografate da dodici calciatori di serie A contenute nelle bustine distribuite in tutte l’edicole d’Italia. I nuovi “introvabili”. Per chi ama il calcio, come fenomeno non solo sportivo ma soprattutto di costume, sono due facce della stessa medaglia.

Insomma, sono giovane, ho 34 anni, eppure credo di far parte di quella generazione “di mezzo” che ha visto – in un certo senso – ancora viva e vegeta una “vecchia Italia post-bellica” che si è trascinata (con tante contraddizioni) fino ai primissimi anni Novanta e che ora invece si trova totalmente immersa in una realtà profondamente modificata. Siamo dentro la cosiddetta post-modernità, tra outlet psichedelici e nativi digitali, ma noi – parlo di coloro che sono nati a metà degli anni Settanta quando la tv era ancora in bianco e nero e i canali si cambiavano a mano alzandosi dal divano – abbiamo ancora fortissimi legami con l’Italia dei “Padri”, almeno per quanto riguarda il dna calcistico. Siamo tutti un po’ figli di Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni e Graziani…e di Pertini, il presidente simpatico a tutti.

Un ventenne di oggi, invece, rispetto ad un over 30, non è entrato mai in contatto con quella società italiana degli anni Settanta/Ottanta così aderente ancora - nei costumi, nelle abitudini domenicali (leggi “pallonare”…), nei ritmi e nelle passioni quotidiane - al tratto più profondo del Belpaese degli anni immediatamente precedenti. La distanza socioculturale di allora – pur registrando inevitabili evoluzioni naturali – non era poi così marcata come oggi invece constatiamo – in modo spesso disarmante - nelle nuove generazioni. Ora si vive l’estetica del calcio digitale, da videogame, nel vortice caleidoscopico delle mille inquadrature. Il calcio “spezzatino”, ipertrofico, barocco, tremendamente decadente nella sua fragile maestosità da basso impero. Fino a metà anni Novanta, di contro, tutti avevano un approccio necessariamente analogico e ortodosso con quello che è considerato ancora oggi - a torto o a ragione – lo sport più bello del mondo.

“Tutto il calcio minuto per minuto” alimentava questo mito, come una colonna sonora delle nostre esistenze. Il mio primo ricordo radiofonico è ancora stampato nella memoria in un modo terribilmente chiaro nel segno di una data precisa: 27 marzo 1983. Un ricordo doloroso per me piccolo seguace di monsieur Michel Platini: la sconfitta in un derby memorabile della Vecchia Signora con il Torino. 3 a 2 per i granata sotto di due goal, in una rimonta pazzesca che vide la Juve travolta dalla furia del Toro. Nella radiocronaca concitata di quei momenti c’è tutta la forza evocativa delle onde sonore. Non vedevo Zoff raccogliere i tre palloni nella rete, ma vivevo l’atmosfera bollente di uno stadio Comunale urlante.

Ecco se penso agli Ameri, ai Ciotti, ai Provenzali, ai Luzzi, non posso non sentirmi travolto da un fiume di amarcord fatto di immagini, parole e sensazioni che scorrono lentamente come i titoli di coda di un film di un’altra vita, relativamente vicina  nel tempo ma ormai così tremendamente lontana. Domeniche passate alla radio con la schedina in mano nella speranza di fare 13 (quelle schedine in cui ancora segnavi a penna i tuoi pronostici); il piacere di seguire via radio tutte le partite giocate in contemporanea e l’attesa spasmodica per vedere i goal alle 18.10 con Valenti in ”Novantesimo Minuto” alla tv. Domeniche che sapevano di famiglia, parenti, patatine fritte, partitine con gli amici per strada, gite fuori porta, paste, casa e ritmi lenti. E tanto calcio, naturalmente, nella “povertà” linguistica di un mezzo televisivo che scorgeva appena l’alba delle reti berlusconiane.

E le figurine? L’album era il regalo della Befana, nella versione aggiornata offerta dalla Panini in concomitanza con il mercato di riparazione. Anche allora alcune immagini erano “introvabili”, avvolte nel mistero. Mi ricordo gli stranieri del Milan anni Ottanta, Blisset e Gerets, oppure il secondo portiere del Verona, Spuri. Mai visti. Pezzi ambiti per completare la raccolta, che valevano singolarmente in un baratto d’altri tempi anche 20 o 30 figurine, scudetti dorati compresi. Squadre che avevano al massimo 16-18 giocatori suddivisi in due pagine. Ora, con rose anche di 30 calciatori, quell’album leggero da sfogliare avidamente è diventato quasi un libro. Pesante. Come il ricordo di un calcio che fu…

Il 2010? Speriamo con (nuovi) “segnali di vita”…


Primo post del blog e dell’anno: pensieri e musica, commenti e canzoni, testi e note (digitali). Il senso – più o meno profondo – di questo blog è tutto qui, racchiuso in un’idea semplice ma spero realmente efficace. Esprimere e condividere riflessioni ed emozioni attraverso un legame che mi ha sempre affascinato, quello tra la parola e la musica, tra la razionalità argomentativa di un testo scritto e la forza evocativa di una melodia cantata.

Seguendo quale linea editoriale? Direi nessuna, almeno apparentemente. In realtà con l’impegno di viaggiare con la testa ed il cuore - per citare un artista siciliano da me molto amato come Franco Battiato – solo attraverso il susseguirsi ispirato di “pensieri associativi”, in piena libertà. Come in un volo che spero possa sprigionare con sè un’energia libera e liberatoria sull’onda delle “meccaniche digitali” del web. E con uno sguardo attento al quotidiano, a quella “svariata umanità” che arricchisce o impoverisce, a seconda dei punti di vista, la nostra esistenza.

Un blog da costruire insieme nel 2010, con l’auspicio che quest’anno così numericamente tondo porti con sè (nuovi) segnali di vita, in tutti i sensi e in tutti i campi. E’ l’augurio che faccio a me e a tutti i noi…